30.9.14

Le Guerre Indiane di Blueberry, le origini lontane dai fasti (ma va bene lo stesso)


Con il terzo albo della serie che la Gazzetta dedica a Blueberry, termina il primo ciclo originale di storie chiamato "Le Guerre Indiane". Tirando le somme siamo ben lontani dal Blueberry entrato di diritto nella storia dei classici della bédé. E questo per una serie di motivi (molti dei quali strettamente personali, mi rendo conto) che ti vado subito ad elencare:

A - Jean-Michel Charlier esagera con i dialoghi e imbocca con il cucchiaino il lettore come si usava tanto caramente fare nel dopoguerra, solo con meno didascalie (mi perdonerai, a questo punto, una facile e fredda battuta: Charlier il ciarliero. Ecco, l'ho fatta).

Fulgido esempio di loquacità scritta, già mostratoti qualche post fa.

B - Charlier imbastisce una storia dai toni classici lasciando che la bontà e la fantasia del lettore chiuda certe situazioni. E dipinge certi personaggi, il buon Mike Donovan per primo, contraddicendosi in più punti. Il tenente Blueberry viene infatti descritto come un irresponsabile "scavezzacollo" e un assoluto indisciplinato, mentre per tutta la durata del primo ciclo le sue azioni lo pongono invece come il militare più coraggioso e volitivo di Fort Navajo. Quasi un soldato modello, soprattutto quando lui per primo rischia la pelle proponendosi come portatore di pace presso Kociss, in missione suicida al fianco dell'inguaribile ubriacone Mc Clure o come protagonista di altre audaci e disperate imprese in solitaria (il recupero del piccolo Dick Stanton dalle grinfie dei messicani e il recupero di amici come il tenente Graig e lo scout indiano Crowe giacca-blu).

C - Qui Blueberry, su scelta di Charlier o di Jean Giraud (o magari di entrambi), assume le fattezze dell'attore francese Jean-Paul Belmondo, in una caratterizzazione che ho apprezzato parecchio ma che con il passare degli anni, purtroppo, sarà destinata a perdere di sostanza, mutando nel volto duro e spigoloso che tutti conoscono.


D - Si ha l'impressione continua che si vada irrimediabilmente per le lunghe e che tutta la storia potesse in realtà entrare in tre albi originali, o forse anche meno, anziché in cinque (Charlier il ciarliero, ricordi?).

E - Jean Giraud, o Moebius, è uno dei Maestri indiscussi del fumetto. Ma qui, ai suoi esordi, siamo ancora lontani dai fasti che lo avrebbero reso celebre. Va ricordato che prima di Milton Caniff o Alex Raymond, ai suoi inizi (e per sua stessa ammissione) Giraud guardava e si ispirava al fumetto popolare italiano e a serie come Pecos Bill, Miki, Blek, Gim Toro, Amok e Il Piccolo Sceriffo. Mirabili comunque i suoi intenti, all'epoca, a volte dissipati (bisogna dirla tutta) da una colorazione che andava bene negli anni '60, ma che oggi risulta (altra freddura, preparati) "incolore".


Detto questo, il terzo albo comprende anche un episodio di passaggio, L'Uomo dalla Stella d'Argento, dove il nostro Blueberry diviene suo malgrado lo sceriffo di Silver Creek in un'altra storia di stampo classico che presenta personaggi e situazioni da perfetto stereotipo western.
E la vicenda, infine, si chiude con il fiato corto solo nell'ultimissima tavola, a testimonianza di un altro veniale peccatuccio di cui il Charlier delle origini sembra macchiarsi un po' di volte (ovvero: tanta carne al fuoco e una nutrita idiosincrasia per i finali "rilassati").

A questo punto ti chiederai se io sia impazzito o meno. Che facciamo? Davvero stiamo qui a mettere le virgole a un gigante come Charlier?

In realtà, per quante stupidaggini io possa propinarti, la questione è un'altra. E cioé che NONOSTANTE tutti i punti sopra elencati, i primi albi di Blueberry filano via che è un piacere e si fanno apprezzare soprattutto per l'intrinseco valore storico. E' solo l'inizio di una grandiosa epopea western che, te lo ricordo, oggi ha passato la boa dei cinquant'anni (le prime tavole della prima avventura furono pubblicate sulla rivista Pilote nel '63).

 Pilote #210, ottobre 1963. Qui è dove tutto è cominciato.


Con Il Cavallo di Ferro, poi, ambientata durante la costruzione delle ferrovie della Union Pacific, Blueberry comincerà a mostrare i primi segni della sua maestosa grandezza. Charlier, sceneggiatore sempre e comunque attento, allenterà le redini sul suo personaggio rendendolo sempre più umano, mentre Moebius, come potrai ben notare da solo, finito il rodaggio delle prime storie, inizia a farsi padrone di inquadrature e scene d'azione attraverso tavole dalla squisita composizione e da una devozione quasi religiosa per i particolari.

Insomma, se chiudo tutta questa manfrina dicendoti che questo primo ciclo mi è piaciuto, la cosa stona troppo con quanto detto sopra?

5 commenti:

GiovanniMarchese ha detto...

Ho provato il primo numero, ma a me Blueberry continua a non piacere. Avevo letto qualcosa anni fa, ma proprio non è nelle mie corde. Rimarrò sempre legato forse ai miei western preferiti di sempre, in bianco e nero, come il Sgt. Kirk, certi cicli di Tex (tra cui alcuni texoni prodigiosi), Magico Vento e Ken Parker.

La firma cangiante ha detto...

Il Charlier ciarliero, che seppur a tratti risultava faticoso, non mi dispiaceva affatto. E' stato però il motivo, unito alla riduzione delle tavole, che mi spinse a lasciar perdere l'edizione Aurea. Tutti quie baloon su tavola ridotta mi facevano scoppiare gli occhi. Però le storie, nonostante i vari difettucci, mi piacevano assai. Ora con la ristampa di Gazzetta va molto meglio, al momento ho avuto il tempo di (ri)leggere solo il primo volume. Ho visto però che dal numero odierno si passa a Marshal Blueberry disegnato da Vance, chissà se è la giusta collocazione di questi albi...

LUIGI BICCO ha detto...

@ Giovanni:
Questo dimostra anche quanto sia radicata (e profonda) la tradizione narrativa western nel nostro Paese. Ci sono però delle run di Blueberry che meritano assolutamente di essere lette.

@ Dario:
E' uno dei motivi per cui anch'io non ho mai preso l'edizione Aurea. E pensa che il loro formato è anche più ampio del bonelliano classico. Io ho fatto fatica a leggere anche alcuni passaggi nel formato gazzetta, pensa, che tra balloon zeppi e colori scuri, avevo bisogno di una lampada alogena :)
Per quanto riguarda la collocazione, hanno spiegato la cosa su uno dei volumi. Procederanno in ordine cronologico ma non di uscita. Seguiranno temporalemente gli anni delle diverse serie. Quindi saranno collocate una in mezzo all'altra, esattamente come sta accadendo con Marshal. A me la cosa non piace ma, come si suol dire, mi adeguo.

La firma cangiante ha detto...

Si, anche a me la cosa infastidisce un poco, probabilmente anche loro si faranno i loro conti, hanno evitato l'ordine cronologico sia con Lucky Luke che con Michel Vaillant, probabilmente partono con materiale appetibile nei primi numeri per coinvolgere più pubblico possibile. Nel caso di Blueberry il discorso mi sembra diverso (a occhio sembra più appetibile la tavola di Vance che non le prime di Giraud). A questo prezzo però mi adeguo senza lamentarmi troppo.

LUIGI BICCO ha detto...

Nnon so con Vaillant, ma posso immaginare che con Lucky Luke non volessero tenersi sugli ultimi albi solo la serie del cowboy giovanotto o quella originale di Morris.
Probabilmente anche su Blueberry ha un senso, anche se io preferirei leggere comunque le varie serie in ordine cronologico di stampa.

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