23.6.15

No Country for Old Men

Quando si tratta di Cormac McCarthy, è facile che tu possa beccare qualcuno a discettarne come se si parlasse di un buon vino, di quelli pregiati. Una roba tipo: ho letto "UN" McCarthy. Hai presente? E la cosa suona pure parecchio naturale.
Qui, senza ombra di dubbio, ci troviamo di fronte ad uno dei migliori romanzi dello scrittore di Providence. Pubblicato per la prima volta nel 2005, è probabile che tu conosca già Non è un paese per vecchi (No Country for old Men, in originale) o perché lo hai già letto o perché hai goduto del gustoso e pedissequo adattamento per il grande schermo orchestrato dai fratelli Coen (e chi meglio di loro?). La storia? Due righe appena:
Nel 1980, in Texas, Llewelyn Moss trova una borsa zeppa di soldi in pieno deserto, sulla scena di un regolamento di conti tra spacciatori di droga.
Sulle sue tracce Anton Chigurh, spietato assassino incaricato di recuperare quei soldi e
lo sceriffo di Terrell County, Ed Tom Bell.
Basta. Finisce lì. Perché le storie di McCarthy in realtà parlano di persone. E poesia e prosa di questo meraviglioso scrittore sono espresse appieno proprio per bocca dei suoi personaggi. E quei tre bastano e avanzano, anche se in realtà sullo sfondo se ne muovono altri, appena accennati ma comunque forti, mai messi lì a caso. Tutti con un bel perché, insomma.
McCarthy non ti parla mai del loro aspetto. Non ti dice com'è fatto lo sceriffo Bell o quanto sia alto Anton Chigurh o come veste Llewelyn Moss, se hanno le basette o i baffi, se sono belli o brutti. Eppure quando sei tra le pagine del libro, chissà perché, non hai bisogno di saperlo. Perché sai esattamente com'è fatto ognuno di loro, dalla testa ai piedi. 


Quando leggi la parola fine sull'ultima pagina di questo romanzo, quasi vieni assalito dalla paura che non ti possano mai più capitare per le mani dei personaggi così potenti. E il merito è anche di una narrativa scarna e secca come poche altre (e dove, per dire, anche virgolette o trattini che racchiudono i dialoghi sono un orpello inutile, e infatti via, non ci sono).
E in tanti passi quella narrativa diventa strettamente cinematografica, tanto che in alcune esemplari sequenze McCarthy ti descrive la scena secondo per secondo, stampandotela a fuoco sulla fronte.


E' il suo stile unico, inconfondibile, che ha fatto del suo modo di scrivere una prodezza bella e buona. E' un grandioso scrittore proprio per questo (oltre ad essere il Re degli incipit, come noterai tu stesso qui). Ecco perché probabilmente il film dei fratelli Coen (che meriterebbe un discorso a parte, certo) è uno dei loro più intimi e sentiti ma allo stesso tempo è stato anche uno dei più facili da realizzare. La sceneggiatura, opera loro, in realtà era già pronta passo dopo passo. E infatti non hanno cambiato praticamente nulla e omesso pochissimo. Andava bene così com'era.

Tanto per intenderci, qui sotto c'è il monologo che apre il film. Rispetto al libro, il succo non cambia. Sono messi insieme in modo più stringato diversi pezzi del diario dello sceriffo Bell. Le parole sono proprio le stesse, però. Così come il potere di tenerti incollati gli occhi allo schermo.



Sul retro del libro c'è scritto una cosa del tipo che questo romanzo è lo spietato ritratto degli Stati Uniti. Ecco, ormai scrivono questa cosa ovunque. Andrebbe bene anche su una scatola di cereali, per dire.
In Non è un paese per vecchi c'è uno scenario irrimediabilmente americano, di confine e polveroso, si. Ma ripeto, McCarthy parla di persone e della loro battaglia per restare da un lato o dall'altro della barricata, sempre con quel sentire inadeguato di tempi agli sgoccioli o che passano troppo in fretta. Tutto il resto, intorno, c'è perché deve esserci. Nient'altro.

Meraviglia. Un romanzo che è tanta meraviglia.

Cormac McCarthy e i fratelli Coen

5 commenti:

CREPASCOLO ha detto...

La scatola di cereali è uno spietato ritratto dell'Australia: qualche tempo fa un ragazzo di Sidney ci ha trovato un pitone. E' successo a tanti chilometri dal mio home, ma sono un tipo apprensivo e da allora Crepascola e Crepascolino fanno colazione con bacon abbrustolito ed una tazza di the verde. Il mio cucciolo ha un colorito paonazzo che nemmeno Enrico VIII in quella stampa nella mensa del riformatorio ed è sempre così rilassato che i suo compagni di giochi della materna hanno preso l'abitudine di zanzargli sempre le figu della raccolta della Expo.
Ne parlavo l'altra sera con Cormac via e-mail. Faccio fatica a seguirlo quando scrive perchè procede senza virgole e punti come un Italo senza controllo nella tratta Milano-Torino con tutti i passeggeri che alzano il muso dal fiero pasto di gomma per contemplare il tachimetro a diodi impazzito che sale sale come le mani della Jane Fonda in un video aerobico degli anni di plastica. Mi ha scritto che sta pensando ad una America prossima ventura in cui i figli siano pochi e coccolati da anziani incantatori di serpenti che attraversano il deserto con le loro bisce domestiche e nutrite a corn flakes. Dovrebbe intitolarsi Il Paese dei Vecchi. Una riflessione sulla impossibilità del potere senescente di farsi da parte che rovescerà il teorema dello Habemus Papam morettiano. Vedremo.

sartoris ha detto...

ho tante di quelle cose da dire su questo romanzo e su questo autore che, guarda, non dico proprio niente che è meglio :-)

LUIGI BICCO ha detto...

@ Crepascolo:
"E' un Paese per vecchi". Geniale.

@ Omar:
So della tua spiccata passione per McCarthy. Inutili quindi le mie parole che non aggiungono e non tolgono a quanto già ti possono aver detto i suoi libri. E non aggiungiamo nulla, allora. Sarà contento pure lui, che di parole in più non sa che farsene :)

La firma cangiante ha detto...

Io dico solo che è lì sullo scaffale che aspetta. Insieme a tonnellate d'altra roba.

LUIGI BICCO ha detto...

Fallo aspettare molto meno degli altri, fidati :)

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