2.2.15

Si fa presto a dire "Ma(r)jo", un po' meno a dire "Josse Beauregard"


Mario Rossi è per antonomasia uno di quei nomi/cognomi lì che da sempre trovi stampato un po' ovunque sui fac-simile di ogni tipo. Vai a spiegare che tra tutti i Mario Rossi ce n'è uno che si firma semplicemente Majo e che è capace di sfornare tavole a fumetti di una certa, rara bellezza.

Ok, è un mio pallino fisso sin dai tempi di Full Moon Project. E lo è rimasto anche in seguito su Lazarus Ledd, Hammer, Zona X e Dampyr. Tutto ciò che ha disegnato è in mio possesso. E chi mi impedirà, poi, di perdere intere diottrie passando in rassegna le tavole del suo prossimo Texone? (Dì la verità, la sapevi questa?).
Tanto per dire, avesse disegnato, che so, Tiramolla contro Zatanna, avrei preso pure quello. Ma in definitiva, ciò che di suo mi mancava, ci ha pensato la Cosmo a portarlo in edicola.

Josse Beauregard è un albo in bianco e nero (Cosmo Serie Rossa) che raccoglie i primi due tomi originali pubblicati in Francia dalla Glénat: il primo nel 2012, il secondo fresco fresco nell'ottobre 2014. Ed è la prima volta che avrei davvero preferito in modo feroce che la Cosmo pubblicasse un titolo sulla collana Cosmo Color, con quel formato più grande e con tutti quei colori, solo ed esclusivamente per meglio rimirare codelle tavole di siffatta bellezza. Perché sono davvero belle, fidati.

Ah, non ti fidi?





Il tratto di Majo è meraviglioso ed etereo. Sembra lavorare sulla sintesi e allo stesso tempo di cesello. Majo è Majo, il suo stile è personalissimo. Attraverso poche ma sapide linee è capace di tratteggiare un galeone come se li costruisse con le proprie mani da una vita.

Ma forse tu volevi sapere qualcosa anche della storia. Gioco sporco e ti riporto pari pari la sinossi dal sito della Cosmo. Ecco qua:
1808, nel pieno delle campagne Napoleoniche. Il capitano della marina francese Josse Beauregard viene catturato dalle truppe spagnole e incarcerato in un terribile galeone prigione. L'unica possibilità di salvezza per il temerario avventuriero è quella di inscenare una incredibile evasione.
Per il resto ti basti sapere che mi è piaciuto, che Thomas Mosdi scrive asciutto e bene e che la storia viaggia tra Barry Lyndon (si va un po' per estremi, via) e le atmosfere che si respirano nei romanzi di Patrick O'Brian. E che il protagonista sembra voler omaggiare, nell'aspetto, il buon Heath Ledger (in particolare nella sua interpretazione ne Il Patriota).


Il numero 1 sul dorso dell'albo e il finale che proprio finale non è (a dispetto di quanto invece ti fa credere la Cosmo parlando di albo "autoconclusivo"), mi fanno ben sperare in un prossimo proseguimento della serie i cui frutti, purtroppo, vedremo dalle nostre parti solo tra qualche annetto (nella migliore delle ipotesi).

No problem. Aspetterò!

2 commenti:

La firma cangiante ha detto...

A leggibilità come siamo messi? Robe da cavarsi gli occhi?

LUIGI BICCO ha detto...

E' appena sotto l'allarme di guardia. Nel senso che si legge bene sotto una discreta luce. Non è leggibile come Rio o un Texone, insomma, ma non è neanche un Blueberry dell'Aurea, tanto per intenderci :)

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