13.3.12

Il collage, alle volte...

Sono sempre rimasto affascinato da questa tecnica. Definita e considerata Arte Povera (intesa come movimento artistico) il collage nasce in Francia all'inizio del Novecento grazie soprattutto ad alcuni artisti di spicco che adottarono la tecnica in questione (tra i più importanti George Braques e Picasso che all'epoca diedero il via al Cubismo).

Secondo Wikipedia, il primo in assoluto a trasformare il collage in una vera e propria forma d'arte fu John Heartfield nel 1924, che la usò come terribile arma satirica contro Hitler e il Nazismo, toccando temi e situazioni forti per l'epoca, tanto da destare parecchio scalpore.

"Mimicry" (1934) - John Heartfield

"The Cross Was Not Heavy Enough" (1934) - John Heartfield

George Grosz, ricorda nei suoi scritti:
«Quando John Heartfield ed io inventammo il fotomontaggio, nel mio studio, alle cinque di una mattinata di maggio nel 1916, nessuno dei due aveva idea delle sue enormi potenzialità, né della strada spinosa ma piena di successo che ci avrebbe aspettato. Come spesso succede nella vita eravamo inciampati in un filone d'oro senza nemmeno accorgercene.»
Negli anni, come dicevo, ho imparato ad apprezzare chi lavora esclusivamente con questa tecnica. Soprattutto chi riesce a comporre opere relegando o sovvertendo le regole della geometria, della prospettiva e della percezione, lasciando in ogni caso inalterato il messaggio. Anche qui, in pratica, può vigere il fondamento che recita "less is more", ma è anche vero che non sempre è fondamentale attenersi ad esso. Perchè a differenza di altri mezzi, il collage è anche e soprattutto concetto, stile e costruzione ma anche colore, urlo e chaos.

Uno degli esponenti più importanti, ad esempio, è stato l'americano Joseph Cornell (1903 - 1972, scultore e pioniere del cinema sperimentale e, tra le altre cose, dell'assemblaggio) che con le sue opere, mai banali o fini a sé stesse, introdusse anche il concetto del collage scultoreo.

"The Hotel Eden" (1945) - Joseph Cornell - Carillon, materiali vari

Ma la varietà sul tema prevedere un'infinità di sfumature sulla tecnica e sul messaggio. Per arrivare ai giorni nostri, ad esempio, troviamo in Vernon Fisher un lavoro molto più concettuale dove anche la parte visiva si limita semplicemente ad una riscrittura della realtà in chiave personale.

"The Tropics" (1978) - Vernon Fisher - Acrilico su carta laminata

Ancora concettualità nei lavori di David Wallace (1942). Ma la parte visiva diviene protagonista quasi assoluta e si cerca il messaggio attraverso soluzioni grafico estetiche improntate su un astrattismo a volte fine e ricercato, altre spietatamente artistico, alla ricerca continua di una soluzione dove spesso la chiave è nella mani stesse di chi guarda.

"At What Time" e "Secret Ballot" (2010) - David Wallace

In quest'ottica di realizzazione, oltre David Wallace, si possono citare anche i due newyorkesi James Gallagher (anche insegnante alla Parsons the New School for Design) e Garrett Pruter.

"Substantial Things" e "Sandburg" (2011) - James Gallagher

"Washed Out" e "Mixed Signals" (2011) - Garrett Pruter

Gallagher, in particolare, dice del proprio lavoro:
I miei collage si concentrano sullo spazio personale, sulle relazioni fisiche e su situazioni enigmatiche. Le forme umane che creo hanno identità oscurate, in modo che le loro azioni trasmettano il dramma. [...] Aspetto che le figure prendano forma e che qualcosa di eccitante accada. E quando succede, quando arriva quel breve attimo nel tempo così naturale o innaturale, ne lascio decidere l'interpretazione allo spettatore.
Di tutt'altro tipo la tecnica di Ray Sell, più moderna e pulita, più votata alla pop culture. I suoi lavori tentano di sezionare il messaggio e contemporaneamente di fornire spunti e stimoli, concentrandosi in particolare sull'impatto e sullo sviluppo dell'archetipo maschile. Prendendo immagini e ritagli da riviste risalenti agli ultimi 60 anni, Sell cerca di creare autoriflessione e dibattito e di mettere in discussione l'ethos stesso con cui la cultura "maschile" si confronta.

"Stand Yer Ground" - Ray Sell

"Celebrity Spokesman" - Ray Sell

Joanna Neborsky, invece, rappresenta la parte più nervosa e caotica del collage. La sua è una tecnica, maturata negli ultimi vent'anni, che si pone con rispetto alla ricerca del messaggio primordiale. Una ricerca d'istinto e senza troppi fronzoli che, per sua stessa ammissione, deve molto a Shel Silverstein, Cy Twombly e, naturalmente, ai Monty Python.

"Paper Chase" e "Lost Books" (2011) - Joanna Neborsky - Illustrazioni editoriali

Sulla stessa onda, ma più curato da un punto di vista prettamente estetico (una grazia forse neanche troppo ricercata), si trova Stanley Hooper, un illustratore editorialista di Brighton, in Inghilterra. E ancora sul genere è da segnalare il minimalismo quasi tantrico di Anthony Zinonos, illustratore inglese di Norwich, puro sperimentatore anarchico (interessanti le sue Slide Zines).

"Space Shuttle Retirement" (2011) - Stanley Hooper - Illustrazione editoriale

"Fade to Black" - Anthony Zinonos - Illustrazione editoriale

E arriviamo alla fine di questa breve esplorazione a quella new wave del collage che ha preso piede negli ultimi quindici, vent'anni. Un unico leitmotiv che racchiude autori e creativi diversi alla ricerca perenne della pulizia grafica come vero e proprio metodo di confronto con la quotidianità. Un processo creativo che passa soprattutto attraverso la grazia dell'immaginario e la delicatezza della fotografia. Tanto fotoritocco, prima di tutto, che però non sposta di una virgola il valore del messaggio che resta comunque genuino e "artigianale". E poi attimi, silenzi, situazioni surreali e paesaggi crepuscolari e finto utopici.

E' il caso di citare il francese
Julien Pacaud, probabile capostipite di questa corrente, attivo con l'Institute Drahomira sin dal 1996. E poi ancora la sua "collega" e amica Mathilde Aubier, Mira Ruido (due parole: Mira = Look, Ruido = Noise, pseudonimo dietro il quale si cela l'illustratore freelance spagnolo Joseba Elorza) e il newyorkese Mark Weaver.

"The End of the World Funclub" (2011) - Julien Pacaud - Personal Work

"Rue 89 Février" - Matilde Aubier - Illustrazione editoriale

"Observatory" - Mira Ruido - Personal Work

"Screen Prints" - Mark Weaver - Personal Work

3 commenti:

CyberLuke ha detto...

Tutti esempi molto interessanti e, come sempre, ben introdotti.
Che aggiungere?
Che lo strumento che più di altri ha ereditato le potenzialità del collage è, una volta di più, Photoshop.
Anche le mie robe altro non sono che versioni evolute del vecchio principio del collage, dopotutto.
Anche se, una volta di più, non rimpiango certo i giorni delle forbici, colla e taglierino (QUI avevo pubblicato una mia cosa fatta ai vecchi metodi...)

Gripa ha detto...

Pensavo anche a Gianluigi Toccafondo...

Pensavo anche a quella volta ( primi anni novanta)
della mia incursione nel mondo del collage:
Un foglio 50x70, colla, taglierino, molto tempo libero,
e un mosaico di ritagli quadrati
da un centimetro di lato, incollati ordinatamente
uno di fianco all'altro.

M'hai fatto ritornare il desiderio.

LUIGI BICCO ha detto...

@ Luca:
In effetti, si. Photoshop è la naturale evoluzione di forbici, taglierino e colla. Uno strumento che ha dato una spinta e una marcia in più a chi vuole esprimersi tramite questa fantasiosa tecnica.
Ricordavo di aver visto il tuo post. Certo che le cose fatte con le mani, conservano un gusto e uno spirito davvero affascinante. Che rimane inalterato nel tempo.

@ Alessandro:
Toccafondo è un altro buon interprete dello strumento. Le sue tecniche miste sono imprevedibili ed "elastiche" nel concetto.
Si, dai, facciamoci tornare la voglia di collage :)

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