L'articolo che segue è opera di Antonio Menna, scrittore e blogger di Napoli che proprio per questa sua piccola riflessione ha visto incrementare le visite al suo blog da un centinaio a molte migliaia. E' rimbalzato da una parte all'altra della rete, da facebook a twitter, e diversi giornali gli hanno chiesto il consenso di pubblicazione.
Riporto anch'io l'articolo, dunque, perchè ne sono venuto a conoscenza solo ora e perchè proprio non se ne poteva fare a meno. Ringrazio Antonio, dunque, per le risate e per le profonde verità che possono celarsi dietro di loro.
Steve Jobs è cresciuto a Mountain View, nella contea di Santa Clara, in California. Qui, con il suo amico Steve Wozniak, fonda la Apple Computer, il primo aprile del 1976. Per finanziarsi, Jobs vende il suo pulmino Volkswagen, e Wozniak la propria calcolatrice. La prima sede della nuova società fu il garage dei genitori: qui lavorarono al loro primo computer, l’Apple I. Ne vendono qualcuno, sulla carta, solo sulla base dell’idea, ai membri dell’Homebrew Computer Club. Con l’impegno d’acquisto, ottengono credito dai fornitori e assemblano i computer, che consegnano in tempo. Successivamente portano l’idea ad un industriale, Mike Markkula, che versa, senza garanzie, nelle casse della società la somma di 250.000 dollari, ottenendo in cambio un terzo di Apple. Con quei soldi Jobs e Wozniak lanciano il prodotto. Le vendite toccano il milione di dollari. Quattro anni dopo, la Apple si quota in Borsa.
Mettiamo che Steve Jobs sia nato in provincia di Napoli. Si chiama Stefano Lavori. Non va all’università, è uno smanettone. Ha un amico che si chiama Stefano Vozzini. Sono due appassionati di tecnologia, qualcuno li chiama ricchioni perchè stanno sempre insieme. I due hanno una idea. Un computer innovativo. Ma non hanno i soldi per comprare i pezzi e assemblarlo. Si mettono nel garage e pensano a come fare. Stefano Lavori dice: "proviamo a venderli senza averli ancora prodotti. Con quegli ordini compriamo i pezzi".
Mettono un annuncio, attaccano i volantini, cercano acquirenti. Nessuno si fa vivo. Bussano alle imprese: “volete sperimentare un nuovo computer?”. Qualcuno è interessato: “portamelo, ti pago a novanta giorni”. “Veramente non ce l’abbiamo ancora, avremmo bisogno di un vostro ordine scritto”. Gli fanno un ordine su carta non intestata. Non si può mai sapere. Con quell’ordine, i due vanno a comprare i pezzi, voglio darli come garanzia per avere credito. I negozianti li buttano fuori. “Senza soldi non si cantano messe”. Che fare? Vendiamoci il motorino. Con quei soldi riescono ad assemblare il primo computer, fanno una sola consegna, guadagnano qualcosa. Ne fanno un altro. La cosa sembra andare.
Ma per decollare ci vuole un capitale maggiore. “Chiediamo un prestito”. Vanno in banca. “Mandatemi i vostri genitori, non facciamo credito a chi non ha niente”, gli dice il direttore della filiale. I due tornano nel garage. Come fare? Mentre ci pensano bussano alla porta. Sono i vigili urbani. “Ci hanno detto che qui state facendo un’attività commerciale. Possiamo vedere i documenti?”. “Che documenti? Stiamo solo sperimentando”. “Ci risulta che avete venduto dei computer”.
I vigili sono stati chiamati da un negozio che sta di fronte. I ragazzi non hanno documenti, il garage non è a norma, non c’è impianto elettrico salvavita, non ci sono bagni, l’attività non ha partita Iva. Il verbale è salato. Ma se tirano fuori qualche soldo di mazzetta, si appara tutto. Gli danno il primo guadagno e apparano.
Ma il giorno dopo arriva la Finanza. Devono apparare pure la Finanza. E poi l’ispettorato del Lavoro. E l’ufficio Igiene. Il gruzzolo iniziale è volato via. Se ne sono andati i primi guadagni. Intanto l’idea sta lì. I primi acquirenti chiamano entusiasti, il computer va alla grande. Bisogna farne altri, a qualunque costo. Ma dove prendere i soldi?
Ci sono i fondi europei, gli incentivi all’autoimpresa. C’è un commercialista a Napoli che sa fare benissimo queste pratiche. “State a posto, avete una idea bellissima. Sicuro possiamo avere un finanziamento a fondo perduto almeno di 100mila euro”. I due ragazzi pensano che è fatta. “Ma i soldi vi arrivano a rendicontazione, dovete prima sostenere le spese. Attrezzate il laboratorio, partire con le attività, e poi avrete i rimborsi. E comunque solo per fare la domanda dobbiamo aprire la partita Iva, registrare lo statuto dal notaio, aprire le posizioni previdenziali, aprire una pratica dal fiscalista, i libri contabili da vidimare, un conto corrente bancario, che a voi non aprono, lo dovete intestare a un vostro genitore. Mettetelo in società con voi. Poi qualcosa per la pratica, il mio onorario. E poi ci vuole qualcosa di soldi per oliare il meccanismo alla regione. C’è un amico a cui dobbiamo fare un regalo sennò il finanziamento ve lo scordate”. “Ma noi questi soldi non ce li abbiamo”. “Nemmeno qualcosa per la pratica? E dove vi avviate?”.
I due ragazzi decidono di chiedere aiuto ai genitori. Vendono l’altro motorino, una collezione di fumetti. Mettono insieme qualcosa. Fanno i documenti, hanno partita iva, posizione Inps, libri contabili, conto corrente bancario. Sono una società. Hanno costi fissi. Il commercialista da pagare. La sede sociale è nel garage, non è a norma, se arrivano di nuovo i vigili, o la finanza, o l’Inps, o l’ispettorato del lavoro, o l’ufficio tecnico del Comune, o i vigili sanitari, sono altri soldi. Evitano di mettere l’insegna fuori della porta per non dare nell’occhio. All’interno del garage lavorano duro: assemblano i computer con pezzi di fortuna, un po’ comprati usati un po’ a credito. Fanno dieci computer nuovi, riescono a venderli. La cosa sembra poter andare.
Ma un giorno bussano al garage. E’ la camorra. Sappiamo che state guadagnando, dovete fare un regalo ai ragazzi che stanno in galera. “Come sarebbe?”. “Pagate, è meglio per voi”.
Se pagano, finiscono i soldi e chiudono. Se non pagano, gli fanno saltare in aria il garage. Se vanno alla polizia e li denunciano, se ne devono solo andare perchè hanno finito di campare. Se non li denunciano e scoprono la cosa, vanno in galera pure loro.
Pagano. Ma non hanno più i soldi per continuare le attività. Il finanziamento dalla Regione non arriva, i libri contabili costano, bisogna versare l’Iva, pagare le tasse su quello che hanno venduto, il commercialista preme, i pezzi sono finiti, assemblare computer in questo modo diventa impossibile, il padre di Stefano Lavori lo prende da parte e gli dice “guagliò, libera questo garage, ci fittiamo i posti auto, che è meglio”.
I due ragazzi si guardano e decidono di chiudere il loro sogno nel cassetto.
Diventano garagisti.
La Apple in provincia di Napoli non sarebbe nata, perchè saremo pure affamati e folli, ma se nasci nel posto sbagliato rimani con la fame e la pazzia, e niente più.
13 commenti:
Bello anche se molto, molto amaro (e penso che ci stia tutta).
Vorrei commentare, ma è meglio di no.
Credimi.
@ Dario:
Rispecchia la condizione italica rispetto alle possibilità che si perdono per strada. In realtà è Napoli, ma potrebbe essere ambientata in qualsiasi cittadina italiana, no?
@ Luca:
Ça va sans dire, Luca. Non c'è il bisogno di tacere. Ora io VOGLIO sapere la tua. Non ci devono essere segreti, tra noi :)
Io ho aperto la mia attività nel ricco nord est, per esempio. La camorra fortunatamente non si è fatta viva, ma per il resto ci siamo! I fondi europei? preferisco non commentare come Luca. Che tristezza!!
E' una tristezza, si.
La situazione è quel che è
(non c'è scampo più per me :)
A parte gli scherzi: l'è dura.
azz. posto su fb
@ Ari:
:)
A proposito di ostacoli italiani:
Una nostra vicina di casa, australiana,
è stata costretta a traslocare per lavoro.
E fin qui, niente di strano.
Ha avuto però un'idea, un po' troppo australiana per il nostro paese.
Ha deciso di organizzare un mercatino in casa sua,
per vendere, mobili, libri, tovaglie e altri oggetti.
Una parte del “mercatino” è stata allestita
anche all'esterno, intorno al portoncino d'ingresso.
Prontamente i vigili urbani le hanno suggerito
di ritirare i pochi oggetti esposti sul suolo pubblico
vietandole di praticare iniziative private di vendita al pubblico.
Costretta ad interrompere la vendita,
la nostra vicina ha lasciato tutte le sue cose nell'appartamento.
La sua trasparente ingenuità non le ha permesso
di vendere neanche un guanto da forno.
Ci ha detto che è tornata in Australia
per molti motivi, tra cui,
l'incomprensibilità legislativa e l'impenetrabilità burocratica
italiana.
@ Gripa:
E questa è solo una. Purtroppo di storie simili ce ne sono sempre troppe. In compenso ho un collega che è partito da un paio di mesi per l'Australia e si è fatto raggiungere anche dalla consorte in modo da cercare lavoro per entrambi perchè non vuole più tornare. Ecco.
In questo paese di merda è vietata OGNI COSA.
Anche quelle innocue, come mettere in vendita cose proprie sull'uscio di casa.
È vietato riparare un guasto della propria auto da soli, se ad esempio dal cofano comincia a uscire fumo, lo sapevi? Ed è vietato girare attorno alla propria auto senza indossare un giubbottino catarifrangente.
È vietato annaffiare le piante sul proprio davanzale.
È vietato attaccare un annuncio in una bacheca senza apporvi la regolamentare marca da bollo.
A volte credo che ci sia un disegno preciso di qualche sadico per rendere la vita legalmente impossibile ai cittadini.
ma la mia sarà solo paranoia.
He! A proposito del "disegno preciso" del quale parli, chiamasi Burinocrazia. E già svariati decenni ci hanno insegnato che, purtroppo, non c'è scampo.
ogni volta che penso d'aver letto ogni post del tuo splendido blog vengo a scoprire che mi sono perso qualcosa...
qualcuno ha detto che la mafia non c'è al nord?
be', ancora non sono in grado di fare il giro del pizzo negozio per negozio, ma si può ormai sospettare con una certa ragionevolezza che siano già in grado di fare il giro del pizzo amministrazione per amministrazione...
@ Zibibì:
He! Nell'ultimo anno, soprattutto, è venuto fuori quello che sembrava essere diventato un tabù. Di mafia al nord non si poteva nemmeno parlare. Ora sfido chi ha il coraggio di non farlo.
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