1.8.11

Storie di Zafòn che parlano di Storie

Che strano.

Quando credi che quelle sensazioni purissime delle tue prime letture, quello smarrimento e quel senso da capogiro di essere preso di peso e trascinato in altri posti , in altri mondi, non torneranno mai perchè ormai vedi le cose con gli occhi del disincanto, allora, dicevo, ecco che arriva la prova ineluttabile che, di quel meccanismo, avevi capito ancora poco se non nulla.

Come tutti gli esseri umani che posseggono l'autonomia di un'oretta da quando posano il deretano stanco sul letto a quando chiudono gli occhi assonnati per salutare la giornata appena trascorsa, ho letto un libro.

Di questo libro avrei voluto parlare prima di finirlo, per paura che il finale non fosse stato all'altezza della lettura, del viaggio, che ho intrapreso tra le sue pagine. Ma non ce l'ho fatta a non finirlo. Questo fine settimana è stato uno sfogliare affamato e vorace tra le sue righe, alla continua ricerca di conferme.

Soltanto Dio (o chi per esso) sa quanto potrà risultare noioso questo post, ma non posso proprio fare a meno di parlarne, nè di aprire a questo punto una piccola parentesi.

Sono sempre stato un accanito sostenitore di una teoria particolare che ora voglio fermare nero su bianco.

ESISTONO DUE TIPI DI STORIE:
- Le storie che parlano di persone
- e le Storie che parlano di avvenimenti (di Storie, appunto).

Ci sono migliaia di sfumature per ogni cosa, tranne per questa. Hermann Hesse scriveva storie che parlavano di persone. Il suo Demian, più delle sue opere celebri, ne è un esempio lampante. Robert Louise Stevenson, scriveva storie che parlavano di Storie. Naturalmente, la buona ragione vuole che parlando di letteratura non si possa essere davvero così rigidi.

Quindi abbiamo anche:
- Storie che parlano di persone ma anche di Storie (il Moby Dick di Melville ne è un buon esempio)
- e storie che parlano di Storie ma anche di persone (esempio calzante per questo caso, potrebbe essere il Cuore di Tenebra di Joseph Conrad).

Sono d'accordo con te che le sfumature tra l'uno e l'altro modo di raccontare potrebbero apparire sottili ed effimere come sbuffi di vento se non addirittura ingannare chi legge. Ma le differenze, come sanno tutti coloro che leggono più di cinque libri l'anno, ci sono e sono palpabili.
Tutto questo anche per sottolineare come io spesso sia combattuto tra questi due tipi di lettura. Ho bisogno di alternare l'uno all'altro. Spesso sono stanco dell'uno e devo passare inevitabilmente (correndo) all'altro.

Dieci giorni fa avevo il bisogno impellente di leggere delle storie che parlassero di storie. Anche perchè è un periodo che certe sedute psichiatriche seduti sulla sedia a leggere le vicende intimistiche alla Murakami, non le reggi più (amando Carver, posso davvero affermare cose del genere?). Che correre intorno ad un tavolo nascondendosi dietro il proprio dito, è un gioco che forse non vale la candela. Che ora hai fame di storie che siano Storie e basta.
Un Jim Thompson, magari. Vonnegut? Dick? O mi faccio due risate con Douglas Adams (mi mancano sempre Addio e grazie per tutto il pesce e Praticamente innocuo) o un P.G. Wodehouse?

Poi mi giro verso mia moglie che è qualche sera che legge in silenzio e senza interruzioni. E il nome sulle copertine è sempre lo stesso: Carlos Ruiz Zafòn. Le chiedo se è così interessante e se parla di storie. Si, è bello. E mi consiglia il primo che ha letto di quell'autore, l'Ombra del Vento.

Qui ci sono i ricordi di centinaia di persone, le loro vite, i sentimenti, le illusioni, la loro assenza, i sogni che non sono mai riusciti a realizzare, le delusioni, i tradimenti e gli amori non corrisposti che hanno avvelenato le loro esistenze... Qui c'è tutto questo, prigioniero per l'eternità.

Mi informo e vengo a sapere che il libro dell'autore spagnolo è stato pubblicato nel 2001 ma non se ne parlò più di tanto, allora. Poi, con il passaparola dei lettori, è arrivato nel 2009 ad essere ristampato parecchie volte arrivando a vendere più di otto milioni di copie. Chissà perchè, quando si parla di cifre del genere mi viene sempre la puzza sotto il naso. Ma ormai avevo deciso.



E poi ho cominciato a leggere.

E poi non ho più smesso.

Zafòn scrive come un Dio. Che in certi passaggi sembra Gabriel Garcia Marquez ma, che qualcuno mi perdoni, con meno orpelli. Più asciutto e pulito. Più per tutti, non so come dirlo meglio. Non so quanto valga la pena raccontarvi di che cosa parli davvero il libro (se proprio non resistete, trovate tutto qui), sottolineo solo quanto lo scrittore giochi con chi legge cambiando le carte in tavola e quanto si diverta a piazzarvi di continuo delle coltellate tra le costole. Quanto 400 pagine scorrano via in un soffio e quanto i protagonisti diventeranno vostri amici.


Zafòn, al momento in cui scrivo, ha quarantasette anni. Ha scritto l'Ombra del vento quando ne aveva trentasette. Questo colloca la parola Genio da qualche altra parte e cambia la prospettiva delle cose. Ci sarebbe da dire che tanti scrittori, prima di scrivere Storie, dovrebbero leggere ANCHE questo libro per iniziare a capire di cosa si sta parlando. Punto.

Non sono di quelli che amano leggere di seguito più libri dello stesso autore, ma devo ammettere che, questa volta, la tentazione è grande. Però ci devo mettere in mezzo qualcosa. Per una sorta di disintossicazione forzata. Magari il primo volume di TinTin della Rizzoli o Omega lo Sconosciuto di Farel Dalrymple e di quel genio puro di Jonathan Lethem.

Ma sono sicuro che continuerò a sentire il fiato di Julian Carax o dell'Ispettore Fumero sul collo.


Non ci si salva da un libro del genere.

2 commenti:

Patrizia Mandanici ha detto...

La tua passione mi ha molto incuriosito, però la citazione di Garcia Marquez mi ha un attimo insospettito, anche se mi assicuri che lo stile è molto più asciutto: non amo granché la letteratura sudamericana e meno che mai Garcia Marquez - eh, i gusti...

LUIGI BICCO ha detto...

Beh, la letteratura spagnola ha comunque delle radici diverse. Ma in ogni caso, in questo caso, una possibilità a questo libro bisogna dargliela :)

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