Alla fine l'ho letto. Ci ho messo un po' più del dovuto, ma ce l'ho fatta. Il corso della lettura de L'Isola del Tesoro non è stato lunghissimo, ma ho dovuto staccare con altre cose. Purtroppo, con il senno di poi, devo ammettere che l'impressione generale è che probabilmente sarei riuscito ad apprezzare di più questo romanzo di formazione in altra età. Capiamoci. Non è che non mi sia piaciuto. Anzi. E' solo che immaginavo altre cose. Jim Hawkins è un personaggio dalla forza straordinaria come tanti altri partoriti dalla mente di Stevenson. A volte un po' supponente, a volte ispiratore di timida tenerezza, vero e proprio protagonista (anche troppo) del romanzo, Jim non ha faticato però a lasciarmi perplesso durante la sua crescita improvvisa da ragazzino cameriere dell'Ammiraglio Benbow (di proprietà dei suoi genitori) a uomo eroico e prode che da solo occupa l'Ispaniola facendola sua a scapito di alcuni pirati di provata esperienza.
Ho avuto la sensazione che tutto l'arco narrativo si svolgesse in pochi giorni e in realtà non accade tantissimo. Ma la cosa che mi ha lasciato più perplesso è stata la figura, entrata poi nel mito, di John Silver. Il pirata che prima di questa avventura asseriva di essere stato alle dipendenze del terribile Capitano Flint come quartiermastro, di aver servito la Marina Reale e di aver perso la gamba durante le sue scorribande con l'immortale Hawk. Di lui mi ero fatto un'idea completamente diversa. E cioè quella tramandata anche dai film che seguirono il romanzo originale, una figura quasi mitica, mentore di Jim ma incorreggibile pirata, truffatore e anche uomo onesto, dalla risata facile e contemporaneamente spietato. Un'ambiguità caratteriale che ho ritrovato anche nel romanzo, in effetti, ma non così forte.
Quello che è venuto fuori dalla lettura è un vecchio pirata ritiratosi a vita privata (facendo il cuoco in un locale del quale è anche proprietario), che si unisce all'incredibile viaggio a bordo della Ispaniola con tutte le più buone intenzioni, ma dei quali veri intenti veniamo a conoscenza poco dopo aver messo piede sulla nave, che mostra la propria natura di "pirata" ma non così terribile (visto che in seguito ad un suo primo tentativo di parlamentare con Jim Hawkins e i suoi amici nel fortino dell'isola in cui si erano barricati, è praticamente costretto a ritirarsi goffamente gambe all'aria), che la sua natura sovversiva viene domata di nuovo nel momento in cui capisce che le acque, per lui, stanno diventando cattive e che non si risparmia un ulteriore cambio di bandiera nei pressi del tesoro del quale tutti sono alla ricerca.
Caratterizzazione ben più temprata e cinica hanno dato di lui, negli anni a seguire, gli svariati attori che ne hanno interpretato il ruolo nei numerosi adattamenti cinematografici, tra i quali ricordo Orson Welles, Charlton Heston, Robert Newton, Anthony Quinn, Tim Curry e Jack Palance tra gli altri.
Orson Welles è Long John Silver nel film del 1972 diretto da John Hough.
Insomma, alla fine mi è rimasto uno strano sapore di scetticismo sulla lingua. Ma, come dicevo prima, da qui ad affermare che il romanzo non mi sia piaciuto, ce ne va un bel po'. L'avventura, nel senso più stretto del termine, è presente in ogni sua sfumatura creando clichè e correnti narrative che sarebbero poi stati ripresi in futuro da altri autori dediti all'avventura con la "A" maiuscola. E un'avventura per mare, tra tempeste, pirati, isole misteriose e tesori nascosti non si rifiuta mai. Quel che mi è invece rimasto è appunto l'odore di quel mare e il rumore in lontananza dell'infrangersi delle onde sugli scogli. E basta questo per poter affermare che la lettura di questa opera è valsa tutto il tempo che le ho dedicato ma che molto probabilmente, come dicevo all'inizio, avrebbe attecchito molto di più il mio immaginario se l'avessi letta più di una ventina d'anni fa.
Ritratto di Robert Louise Stevenson nel suo studio
E rimane anche una sorta di amarezza nel non possedere una versione del libro risalente al 1927, illustrata magistralmente da Edmund Dulac, illustratore di Tolosa che ha prestato la propria arte a grandi classici della letteratura come Mille e una notte, Simbad il marinaio e, appunto, l'Isola del Tesoro e Il ragazzo rapito - le avventure di David Balfour (sempre di Stevenson). Di questi ultimi due, qui trovate un esaustivo post del blog Golden Age Comic Book Stories).
E girando per la rete mi sono imbattuo anche in un altro prestigioso illustratore, Newell Convers Wyeth, che ha regalato la propria arte visionaria al romanzo di Stevenson, come anche a L'Ultimo dei Mohicani, Michael Strogoff, l'Isola Misteriosa, La Freccia Nera e moltissimi altri.
Ultimo appunto per la versione a fumetti de L'Isola del Tesoro che mi aspettava dietro l'angolo. Quella adattata da Mino Milani e Hugo Pratt della quale avevo parlato anche qui. L'opera in questione è appunto un adattamento quasi pedissequo della storia originale, ed è inutile dire quando la visione del grande Pratt abbia arricchito questa lettura. Quanto sia stato in grado di ricostruire fatti, posti e personaggi, come se li avesse creati lui stesso. Allo stesso modo in cui è retorico ripetere quando il mare fosse cosa sua.
Ma questo volume comprende anche un altro adattamento, sempre da un'opera di Stevens. Il Ragazzo Rapito, anche questa una storia d'altri tempi che, per quanto possibile, Pratt tratteggia anche meglio della precedente. La storia in questione sembra sia stata colora poi in un secondo momento (in modo magistrale e particolare rispetto ad altre cose) da Patrizia Zanotti, collaboratrice storica del Maestro di Malamocco. E bellissimo è anche il servizio redazionale fotografico che chiude questo volume con un Pratt, riverente e sognante, in giro per il mondo alla ricerca della tomba di Robert Louise Stevenson, lo scrittore che più di altri ha influito sul suo lavoro nel corso degli anni.
4 commenti:
l'inconscio non conosce la parola NON: hai ripetuto due volte che non vuoi dire che il romanzo non ti sia piaciuto, ma sotto sotto... nessuno ti condannerà se dici che non ti è piaciuto :-)
Eeeee... NON posso dire che sia proprio così, Alessandro :)
E' proprio che sono convinto che mi sarebbe piaciuto di più anni fa.
Diciamo che in cose di mare, ha attecchito più Conrad.
Capisco quello che intendi. Mi è capitata la stessa cosa, in modo inverso, con i fumetti. Ciò che mi parve un capolavoro inarrivabile all' epoca, oggi sembra soltanto una storia sempliciotta o quasi. Credo che ogni opera sia figlia del suo tempo e questo, naturalmente, vale anche per l'età in cui la viviamo.
:)
Non la metterei proprio proprio proprio così. Mi spiego meglio: volendo, anche Il Mago di Oz ha perso dello smalto. Ma non è solo quello. E' che, ad esempio, quest'ultimo mi è piaciuto molto.
Naturalmente non metterei mai a confronto le due opere che sono distanti tra loro anni luce per intenti, fantasia, morale, luoghi e ideologia. Però il Mago di Oz me la ricordo come una lettura molto particolare e non l'ho letto quando ero ragazzo, ma solo un paio di anni fa. Oserei dire che si tratta solo di una questione "a pelle".
Ma in ogni caso rendo merito al valore del libro di Stevenson. Perchè ne ha, eccome.
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