19.6.13

L'Isola della Sacerdotessa dell'Amore e la scoperta, mica poi troppo casuale, di Christopher Moore


A me piace l'ironia vestita di non-sense dei Monty Python. A me piace l'ironia dei capolavori di Douglas Adams e quella più misurata e "inglese" di P.G. Wodehouse. A me piace chiunque sappia far ridere attraverso situazioni paradossali e al limite della follia. E mi piace chi, attraverso il paradossale, non fa altro che descrivere la nostra realtà. Stasera, invece, passo a ritirare un libro ordinato un paio di giorni fa: L'Isola della Sacerdotessa dell'Amore di Christopher Moore (nella foto qui sopra).

Di Christopher Moore, scrittore di Mansfield, nell'Ohio, su wikipedia si scrive che il suo stile narrativo:
coniuga l'umanesimo di John Steinbeck, uno degli autori preferiti di Moore, con l'ironia tipica di Kurt Vonnegut e Douglas Adams.
Io Moore l'ho scoperto per caso. Non ho mai letto nulla, di suo. O meglio, qualche giorno fa mi sono ritrovato a leggiucchiare le sinossi dei suoi libri pubblicati in Italia dalle Edizioni Elliott (Fool, Sesso e Lucertole a Melancholy Cove, Il Vangelo Secondo Biff, Il Karma del Gatto, Sacré Bleu e altri). Ma soprattutto, appunto, il suo ultimo romanzo uscito a maggio scorso, L'Isola della Sacerdotessa dell'Amore.

Ecco la sinossi:

Tucker Case, un imbranato asociale intrappolato nel corpo di un figaccione, fa il pilota per la Mary Jean Cosmetics Corporation. Ma quando distrugge il jet rosa del capo perché troppo ubriaco nonché troppo impegnato a fare sesso nella cabina con una prostituta, Tuck si ritrova su tutte le prime pagine dei giornali del pianeta e, naturalmente, senza lavoro. L’unico impiego disponibile è quello offertogli da un medico missionario senza scrupoli che gli affida il suo jet nuovo di zecca per una missione segreta su una minuscola isola della Micronesia. Una volta giunto sul posto, però, non sarà certo la noia il suo problema, visto che dovrà vedersela con strani personaggi: dalla bionda e supersexy moglie del suo datore di lavoro che si fa passare per una sacerdotessa, al popolo di ex cannibali meglio noto come il Popolo Squalo, al fantasma di un aviatore della Seconda guerra mondiale che gioca a carte con un falegname ebreo in cielo…

Ora.

A leggerla così sembra esattamente la sinossi di un romanzo che sarebbe piaciuto scrivere a me (e vi dirò di più, un romanzo del genere, in testa, mi sta ronzando da cinque o sei anni e senza saper né leggere né scrivere, sono sicuro che prima o poi mi ci metterò su).

In ogni caso, la scoperta di Moore potrebbe portare a due strade:
- un'eclatante e cocente delusione
- la scoperta di un nuovo grande mito.

E io provo paura in entrambi i casi. Ma saprò dirvi poi.

2 commenti:

GiovanniMarchese ha detto...

Ti capisco. Nel primo caso, la paura scaturisce dalla delusione di aver sprecato tempo, energie e denaro. Nel secondo caso la scoperta di un nuovo grande mito porta inevitabilmente a ridimensionare e ridefinire la misura delle nostre capacità e ambizioni... è così? O no?

LUIGI BICCO ha detto...

Bravo Giovanni. Anche se nel secondo caso, avrei detto semplicemente che porta a ridefinire la percezione che abbiamo di un certo tipo di letteratura, magari a noi affine, rispetto alla nuova "scoperta" che abbiamo fatto. Non tanto alle ambizioni, perché (viva dio) non tutti quelli che leggono, hanno ambizioni di quel tipo.

Comunque il discorso è chiaro, mi pare ;)

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