Tra un libro e l'altro mi concedo ogni tanto il recupero di importanti classici della letteratura americana che non ho ancora avuto il piacere di leggere. Questa volta è toccato a Il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald. Libro sul quale rimuginavo da tempo. Corteggiato, almeno nei miei pensieri, da parecchio tempo.
Che dire di questo romanzo? Forse che ha tradito alcune aspettative ma che ne ha pienamente risolte di nuove e inaspettate. L'autore, appena trentenne, ha scritto questo romanzo (riconosciuto come uno dei suoi migliori) nel 1925, anche se la storia è ambientata in una calda estate del 1922 a Long Island, New York. Sono passati tanti anni e su certi aspetti, questi hanno pesato non poco. La spigolosità e l'emancipazione di alcuni personaggi femminili, per certi versi azzardati ancora oggi, allora presumo possano essere sembrati quanto meno stravaganti. O forse no, visto che proprio quegli anni stavano segnando un nuovo modo di interpretare la figura della donna, della sua indipendenza e anche della sua tempra mascolina.
Qualcuno mi aveva parlato di jazz (Fitzgerald ha scritto diverse novelle ambientate all'epoca del Grande Jazz), ma qui, onestamente, non ne ho trovato neppure la più piccola traccia. Tra una festa e l'altra, tra le strade del West Egg, ogni tanto e con impegno ho potuto ascoltare qualche nota di charleston, ma nulla di più. Il resto riguarda un legame di amicizia, quello tra i due protagonisti Nick Carraway e Jay Gatsby, e quello d'amore viscerale e unico che quest'ultimo prova nei confronti della bella Daisy, persa anni addietro e ora ritrovata.
I ruggenti anni '20 della grande America, quella dei sogni vissuti fino all'ultimo respiro ma anche della povertà d'intenti, traspaiono tutti. Così come traspaiono i bisogni un po' effimeri di quella società abituata a vivere dietro il paravento di un finto e malcelato perbenismo che di lì a qualche anno avrebbe raddrizzato la schiena a suon di calci a tutti. E Fitzgerald è molto bravo a farvi sentire al posto giusto nel momento giusto. Se Gatsby dà una festa, voi ci siete in mezzo, ben attenti a non sfiorare alcune delle persone che vi partecipano. Perchè se l'autore vi dice che sono antipatiche e altezzose, a voi staranno antipatiche e le troverete altezzose.
Cosa mi è davvero rimasto di questo romanzo? Soprattutto un'immagine. Quella di Jay Gatsby nel giardino della sua lussuosa casa, in una calda serata estiva, intento a fissare una luce verde dall'altra parte della baia. La stessa luce che nasconde il tormento e lo struggimento per l'amore di una vita mai compiuto.
Bello? Si.
Parola d'ordine? Malinconia.
Immagino che ora potrei fare lo sforzo di andarmi a cercare il film con Robert Redford e Mia Farrow tratto dal romanzo. O anche no. Dipende.
Qualcuno mi aveva parlato di jazz (Fitzgerald ha scritto diverse novelle ambientate all'epoca del Grande Jazz), ma qui, onestamente, non ne ho trovato neppure la più piccola traccia. Tra una festa e l'altra, tra le strade del West Egg, ogni tanto e con impegno ho potuto ascoltare qualche nota di charleston, ma nulla di più. Il resto riguarda un legame di amicizia, quello tra i due protagonisti Nick Carraway e Jay Gatsby, e quello d'amore viscerale e unico che quest'ultimo prova nei confronti della bella Daisy, persa anni addietro e ora ritrovata.
I ruggenti anni '20 della grande America, quella dei sogni vissuti fino all'ultimo respiro ma anche della povertà d'intenti, traspaiono tutti. Così come traspaiono i bisogni un po' effimeri di quella società abituata a vivere dietro il paravento di un finto e malcelato perbenismo che di lì a qualche anno avrebbe raddrizzato la schiena a suon di calci a tutti. E Fitzgerald è molto bravo a farvi sentire al posto giusto nel momento giusto. Se Gatsby dà una festa, voi ci siete in mezzo, ben attenti a non sfiorare alcune delle persone che vi partecipano. Perchè se l'autore vi dice che sono antipatiche e altezzose, a voi staranno antipatiche e le troverete altezzose.
Cosa mi è davvero rimasto di questo romanzo? Soprattutto un'immagine. Quella di Jay Gatsby nel giardino della sua lussuosa casa, in una calda serata estiva, intento a fissare una luce verde dall'altra parte della baia. La stessa luce che nasconde il tormento e lo struggimento per l'amore di una vita mai compiuto.
Bello? Si.
Parola d'ordine? Malinconia.
Immagino che ora potrei fare lo sforzo di andarmi a cercare il film con Robert Redford e Mia Farrow tratto dal romanzo. O anche no. Dipende.
Oppure potrei rilassarmi cinque minuti con The Great Gatsby Game, il videogioco ispirato al romanzo, riadattato per il web da una vecchia cartuccia NES da qualche sadico programmatore folle.
2 commenti:
Devo dire che il libro attrae anche me. La letteratura classica Americana mi manca quasi del tutto.
Hemingway, Fitzgerald, Steinbeck, etc...
Bisognerà rimediare, probabilmente partirò da Addio alle armi che è già in libreria
Bè! Forse non è il libro più semplice dal quale cominciare, quello di Hemingway, ma sicuramente uno dei picchi più meritevoli.
Buona lettura, allora.
Mi aspetto poi le tue impressioni sul blog, Dario.
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